IL CONTRIBUTO DELLA PAC AGLI OBIETTIVI DELLE 3 CONVENZIONI DELLE NAZIONI UNITE ULL'AMBIENTE Stampa

“1. La politica agricola comune (PAC) è chiamata ad affrontare una serie di sfide, talvolta uniche per la loro natura, talvolta impreviste, che costringono l'UE a fare scelte strategiche per

il futuro a lungo termine del settore agricolo e delle zone rurali. Per far fronte a tali sfide in modo efficace la PAC deve operare in un contesto di politiche economiche sane e di finanze pubbliche sostenibili che contribuiscano al conseguimento degli obiettivi dell'Unione.
La riforma della PAC deve proseguire anche per favorire lo sviluppo della competitività, l'uso efficiente del denaro dei contribuenti e il conseguimento dei risultati che i cittadini europei si attendono da un'efficace politica pubblica in termini di sicurezza dell'approvvigionamento alimentare, ambiente, cambiamento climatico, equilibrio sociale e territoriale. L'obiettivo dovrebbe essere la promozione di una crescita più sostenibile, intelligente ed inclusiva  dell'Europa rurale.
Per pervenire a tale risultato, … la PAC dovrebbe poggiare in futuro su un primo pilastro "più verde" e più equamente ripartito e su un secondo pilastro maggiormente incentrato sulla competitività e l'innovazione, il cambiamento climatico e l'ambiente…

3.2  Ambiente e cambiamento climatico. L'agricoltura e la silvicoltura svolgono un ruolo cruciale nella produzione di beni di pubblica utilità, segnatamente a valenza ambientale, come i paesaggi, la biodiversità dei terreni agricoli, la stabilità del clima e una maggiore resilienza a disastri naturali quali inondazioni, siccità e incendi. Nel contempo, molte pratiche agricole possono esercitare una pressione sull'ambiente e provocare degrado dei terreni, carenza e inquinamento delle acque e perdita di habitat naturali e di biodiversità.

3.3.  Equilibrio territoriale. La diversificazione della struttura socioeconomica del territorio fa sì che sempre più spesso lo sviluppo delle zone rurali dipenda da fattori estranei all'agricoltura. Tuttavia l'agricoltura continua a svolgere un ruolo trainante per l'economia rurale di buona parte dell'UE. La vitalità e le potenzialità di
numerose zone rurali rimangono strettamente associate alla presenza di un settore agricolo dinamico, competitivo e in grado di attrarre i giovani agricoltori”.

Dalla “Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni su “La PAC verso il 2020: rispondere alle future sfide dell'alimentazione, delle risorse naturali e del territorio”

Per riflettere su queste tematiche e per proporre nuove prospettive di discussione la FIDAF (Federazione Italiana Dottori in Agraria e Forestali), l'INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria), il CA3C (Comitato di Appoggio alle 3 Convenzioni globali delle Nazioni Unite sull'Ambiente) e l'ARDAF (Associazione Romana Dottori in Agraria e Forestali) hanno organizzato questo Seminario che si proponeva di analizzare i documenti finora prodotti per valutare quale può essere l’effettivo contributo della P.A.C. agli obiettivi delle 3 Convenzioni e verificare, in particolare, gli strumenti proposti e gli specifici indicatori di valutazione dei risultati.

Ha introdotto i lavori Luigi Rossi, Presidente della FIDAF, che dopo aver ricordato il costante interesse della categoria dei Dottori in Agraria e Forestali per le tematiche di tutela dell'ambiente, ha tracciato una breve storia delle attività intraprese dal CA3C negli oltre 10 anni di vita e testimoniate nel Convegno organizzato presso la sede ENEA della Casaccia nel dicembre 2008.

Nel suo intervento – dal titolo “Sostenibilità e competitività, obiettivi per la PAC di domani” - la dott.ssa Alessandra Pesce dell'INEA ha fatto un quadro delle discussioni in atto per definire la struttura finale della nuova PAC. Il quadro attuale è ancora molto incerto, sia per quanto riguarda il budget comunitario disponibile, sia per le posizioni molto diversificate presenti all'interno della compagine comunitaria. Ciò potrebbe mettere in discussione sia l'architettura attuale della PAC (i 2 pilastri dei “Pagamenti diretti” e dello “Sviluppo rurale”) che il bilanciamento attuale dei fondi destinati.
Dopo un excursus sugli assetti legati alla condizionalità di tipo ambientale introdotti con il Reg.1259 del 1999 e sviluppati in seguito con la Riforma del 2005 e con l'Health Check del 2009 si evidenziato l'uso sempre più marcato dello slogan “Greening the Cap” in voga oggi ma che, a detta dell'oratrice, andrebbe rafforzato nel
concreto.
Entrando nel merito dei punti salienti dell'attuale riforma in discussione si è sottolineata la necessità da parte dell'Europa di mantenere il sistema del pagamento diretto degli agricoltori (per stabilizzarne il reddito) giustificato anche per la produzione di beni di interesse pubblico ma anche l'esigenza di considerare la
competitività e l'attuale volatilità dei prezzi nelle moderne filiere agricole. Tutto ciò deve oggi anche misurarsi con le sfide poste dai cambiamenti climatici ad un sistema, come quello europeo, che si caratterizza per una diversità tra le agricolture presenti nei 25 paesi che lo compongono.
Le slides mostrate nel corso della presentazione hanno dato modo di comprendere nel dettaglio i dati econometrici che dovrebbero guidare i politici nelle scelte che, nel caso della riforma dei pagamenti diretti (che rappresentano attualmente circa il 70% del budget), saranno le più rilevanti e difficili per la PAC post 2013.

L'intervento di Guido Bonati (INEA) - dal titolo “Risorse idriche, cambiamenti climatici, desertificazione: le sfide per l'agricoltura italiana” - ha riguardato più squisitamente tematiche di ordine tecnico-agronomiche.
Di fronte alle sfide poste dai cambiamenti climatici all'agricoltura si richiede di ricorrere fondamentalmente a due approcci: quello della mitigazione e quello dell'adattamento.
Sul primo fronte, ferma restando la difficoltà di misurare le emissioni di gas serra dovute all'agricoltura e di abbatterne il livello attraverso semplici interventi tecnologici (più semplici da attuare in un contesto industriale o del terziario) le slides presentate hanno evidenziato gli effetti sulle produzioni agricole e le conseguenze per la biodiversità dei suoli e sui processi di desertificazione.
Gli scenari climatici più accreditati per il bacino del Mediterraneo che interessano particolarmente l'agricoltura del nostro Paese mostrano variazioni sensibili sia sul fronte delle precipitazioni annuali (e di quelle estive, in particolare) che delle temperature medie che determineranno cambiamenti sensibili nelle rese obbligando gli agricoltori a scelte sempre più accurate delle colture e delle anticipazioni delle semine  e, soprattutto, ad una sempre più accorta gestione delle risorse idriche.

Gregory Lazarev, Presidente del CA3C (Comitato di Appoggio alle 3 Convenzioni globali delle Nazioni Unite sull'Ambiente) - sulla base della sua formazione multidisciplinare e di una pratica maturata in oltre 30 anni di lavoro e di missioni in tutto il mondo come funzionario della FAO ha analizzato le 3 opzioni di modifica
della Politica Agricola Comunitaria presenti nel documento “Scenar 2020 – Scenario study on agriculture and the rural world” (si veda il sito: http://ec.europa.eu/agriculture/publi/reports/scenar2020/index_en.htm).
La prima, relativa ad una “graduale” modifica della PAC – e che ben si identifica con l'espressione “business as usual” - mostra sul piano ambientale una debole capacità di risposta alle sfide poste dai cambiamenti climatici, dalla perdita di biodiversità e dalla desertificazione, mostrandosi così insufficiente sia in fase di
mitigazione che di adattamento.
La seconda opzione – quella di una modifica “sostanziale” evidenzia una più ampia efficienza dell'agricoltura comunitaria, in sintonia con il dinamismo dello sviluppo tecnico-scientifico, ma solo in parte migliorativa sul fronte ambientale, per lo più localizzato a livello della singola azienda agricola.
La terza opzione (quella che comporterebbe una modifica “radicale” della PAC) si prefigge più obiettivi sul piano ambientale ed è certamente quella che più risponde alle istanze poste dagli obiettivi di sostenibilità della UE e dalle 3 Convenzioni delle Nazioni Unite sull'Ambiente. Questa opzione peraltro soddisfa i criteri
di competitività dell'agricoltura europea coniugandoli con quello dello sviluppo territoriale.
I dati presentati sulla agricoltura europea a 25, sull'estensione dei terreni agricoli e sul numero di aziende nei singoli Paesi mostra alcuni paradossi sul concetto di “ruralità” del territorio.
L'applicazione della “opzione 3” del suddetto studio comporterebbe l'adozione di un approccio integrato di tutte le risorse territoriali (di cui beneficerebbero non solo le singole aziende ma tutto il territorio che peraltro fornisce risorse di cui queste aziende beneficiano). Il riconoscimento del territorio come “ecosistema” -
specie nell'ambiente del Mediterraneo (vedasi gli studi del Plan Bleu dell'UNEP  e del CIHEAM – ha un'alta valenza scientifica oltre che storica e culturale: si pensi alla concezione dell'ambiente e delle sue componenti (acque, suoli, pascoli, boschi, biomasse, ecc.) come “beni comuni”.
L'insieme di queste ecosistemi è peraltro “fornitore di servizi” cosi come ben evidenziato dal Millenium Ecosystem Assesment del 2005. La quantificazione del valore economico di tali servizi è oggetto delle più attuali ricerche econometriche.
Sul piano operativo la gestione dei beni comuni implica una responsabilità collettiva (così come ben evidenziato dalle ricerche di Elinor Ostrom, Premio Nobel per l'Economia 2010) ed una piena valorizzazione della cosiddetta “multifunzionalità dell'agricoltura”, così come definita in ambito Ue.
La consapevolezza di questo ruolo di “agroecologo” dovrebbe entrare a far parte, a pieno titolo, del curriculum culturale e professionale del Dottore in Scienze Agrarie e Forestali e, di conseguenza, a livello accademico, di un aggiornamento degli obiettivi di formazione a livello universitario.
Altra problematica sollevata dalla relazione del dott. Lazarev è stata quella del pagamento dei “servizi ambientali”: i finanziamenti per le aziende (previsti dalla PAC) andrebbero concessi anche in un contesto territoriale (così come già sperimentato in altri Paesi, come il Costarica).
La prospettiva è quindi quella di pervenire ad un vero e proprio “sviluppo territoriale” che, come si capisce, richiede l'individuazione chiara sia del “territorio” in oggetto (che spesso travalica i confini amministrativi tradizionali) che delle capacità professionali necessarie per la sua “governance”.

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Il breve intervallo tra le due parti del Seminario ha dato luogo ad un interessante dibattito stimolato dalle relazioni presentate che ha riguardato la centralità dell'ambiente, la formazione dei giovani in Europa, l'importanza di acquisire nell'ambito dei censimenti ISTAT dati non solo sulle aziende ma anche a livello
territoriale e sulle aziende forestali, il ruolo tuttora sottovalutato dei beni pubblici forestali, la rivalutazione dell'affitto agrario per favorire l'occupazione specie nelle zone rurali abbandonate, il ruolo avuto su quest'ultima tematica a livello nazionale dalla FIDAF negli anni '80  grazie all'impegno del suo Presidente Silvano Marsella, le questioni legate all'IVA in agricoltura.
Tali considerazioni hanno consentito ai relatori di entrare brevemente nello specifico di alcuni temi affrontati precisando il proprio pensiero sui progetti comunitari LEADER e GAL, sulla sempre più diffusa riduzione del numero di aziende agricole in Italia, sulle iniziative di formazione di nuove figure di mediatori culturali e della
necessità di sviluppare una visione globale a livello politico dello sviluppo del territorio non solo economico ma anche socio-ambientale.

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La relazione di Piermaria Corona, docente dell'Università della Tuscia, ha aperto la seconda parte della mattinata ed ha riguardato la PAC ed il territorio montano. I dati statistici presentati hanno delineato l'importanza della montagna e delle sue risorse economiche per l'economia nazionale, le dinamiche dei sistemi forestali nel nostro Paese ed il ruolo preponderante che la proprietà pubblica di questi ha nella sua gestione, purtroppo assai condizionata dalle scarse risorse economiche degli enti locali. Al di là di alcune aree “felici” del territorio nazionale - dove la buona amministrazione e la scelta di metodi moderni di gestione forestale ha dato luogo ad una valorizzazione di tutte le potenzialità che le aree montane hanno e che può garantire alta redditività delle attività selvicolturali non disgiunta da una adeguata protezione ambientale – restano i dati relativi a deficit di utilizzazione dei nostri boschi che si traducono in passivi della nostra bilancia dei pagamenti, anche in presenza di una industria nazionale del mobile e dell'arredamento che potrebbe avere da un'adeguata utilizzazione del nostro patrimonio boschivo ulteriori margini di competitività nel mercato mondiale.
La relazione del prof. Corona ha toccato anche la questione legata alle bioenergie forestali  - sfatando alcune illusioni sulle potenzialità “autartiche” del settore – e l'assoluta mancanza di attenzione fin qui avuta dai Piani di Sviluppo Rurale per i prodotti forestali non legnosi che rappresentano, anche in termini economici,
elementi di reddito non trascurabili.
La “gestione forestale sostenibile” sempre di più deve essere intesa come governance territoriale di tutte le risorse delle foreste il cui valore economico in termini di “servizi dei biomi forestali” è stato ben identificato scientificamente dalle ricerche del Millenium Ecosystem Assessment.
In base al Protocollo di Kyoto le foreste nazionali valgono ogni anno  500 milioni di euro – incamerati dallo Stato – ma si attende che il Programma Quadro del Settore Forestale riceva risorse finanziarie anche dalla nuova PAC grazie ai Piani di Sviluppo Rurale.
Ma il futuro del settore forestale non si gioca solo sulle disponibilità di cassa ma anche, e soprattutto, sulle scelte di politiche di spesa: si dovrebbe puntare non tanto alla creazione di nuovi boschi ma ad una migliore gestione di quelli che abbiamo (anche in funzione di protezione del territorio sul piano idrogeologico e di
prevenzione degli incendi).
Attraverso i nuovi Piani di Sviluppo Rurale potrebbe essere possibile un abbattimento del “carico burocratico” che di fatto ostacola in maniera determinante non solo i privati ma anche le istituzioni pubbliche nell'affrontare in maniera ottimale la gestione forestale attraverso l'utilizzazione di strumenti pianificatori operativi che già esistono (vedasi Piani di assestamento forestali) ma che sono ancora scarsamente applicati a livello nazionale.

Massimo Iannetta dell'ENEA nella sua relazione dal titolo “Cibo, energia ed ambiente: un approccio sostenibile verso la nuova PAC” ha presentato i dati più recenti - tratti dal Global Footprint Network -  relativi ai trend demografici, consumi alimentari, sostenibilità delle filiere ed impatti ambientali.
L'utilizzazione di alcuni indicatori (quali l'Indice di sostenibilità degli alimenti e gli strumenti d'indagine del Life-Cycle Assessment) hanno ben evidenziato il ruolo che produzione di cibo ed energia hanno nel determinare l'impatto ambientale del settore agroindustriale nazionale e comunitario.
Sempre più importanza assume il ruolo della ricerca, specialmente nell'ambito della cosiddetta “Bioeconomia” che, a livello continentale, si concretizza in ben 9 piattaforme tecnologiche il che rivela quanto sia ormai al centro dell'agenda internazionale il tema della sostenibilità della produzione e della distribuzione del cibo.

Nelle sue conclusioni Francesco Menafra, Presidente dell'ARDAF (Associazione Romana Dottori in Agraria e Forestali) ha ribadito la necessità di trovare un equilibrio tra gli obiettivi delle 3 Convenzioni delle Nazioni Unite sull'ambiente e la realtà delle aziende agricole (quelle “di punta” e le tante altre più piccole che hanno anche loro una grande importanza a livello territoriale) giacchè all'agricoltura tutta, nel suo complesso, si chiede di dare reddito ma anche di tutelare l'ambiente.