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MEDITERRA 2009 PDF Stampa E-mail

Pubblicato lo studio “MEDITERRA – Repenser le developpement rural en Mediterranee” (Presses de sciences PO - 2009)


Nel panorama delle diverse forme di degrado ambientale, che ormai interessano tutte le aree del pianeta, una attenzione particolare merita la situazione del bacino del Mediterraneo e dei Paesi che si affacciano ad esso. Come sappiamo, esso costituisce da sempre un sistema organico che ha dato luogo al fiorire di molte civiltà, interagenti tra loro, in modo tale da costituire una unica solida base culturale di analisi, conoscenze ed esperienze per il progresso e l’evoluzione dell’intera umanità, fino ai nostri giorni. Nel corso dei secoli però, quel processo di interazione (che è continuato a lungo pur tra lotte, contrasti e guerre per la supremazia, economica, territoriale e politica dell’area) ha subito un arresto e si è progressivamente creata una frattura, tra i Paesi della sponda nord e quella sud ed est del bacino; frattura che partendo dalla sfera religiosa è poi divenuta anche di tipo culturale, economico e sociale. L’inevitabile conseguenza di questa frattura ha comportato uno sviluppo radicalmente diverso e tale che i rapporti si sono gradatamente ridotti ad un limitato scambio di merci e poco altro. L’irrompere sullo scenario mondiale del problema ambientale che per la sua natura non permette separazioni o divisioni di alcun genere ha fatto nascere, da tempo, molte iniziative che, nel settore specifico, sono tese a ricercare una comune condivisione di finalità ed iniziative che contrastino il degrado in atto ed inducano comportamenti per uno sviluppo sostenibile dell’area. In questo quadro sono state fatte e sono disponibili molte indagini ed analisi sulle reali condizioni dei Paesi dell’area, come indispensabile punto di partenza per le azioni che dovranno essere intraprese. Fondamentali, in particolare, sono gli studi nell’ambito delle iniziative del Plan Bleu e dei successivi convegni e conferenze. Sulla stessa scia si pone ora lo studio “MEDITERRA – Repenser le developpement rural en Mediterranee” (Presses de sciences PO - 2009).

In tale studio, molto opportunamente l’agricoltura viene considerata come l’attività centrale nel rapporto tra l’uomo e l’ambiente, in quanto è principalmente attraverso di essa che l’uomo può determinare una gestione virtuosa dei suoli e delle acque o al contrario accelerarne il processo di degrado in atto. Ciò riguarda ovviamente sia i rischi di desertificazione ma anche quelli climatici e della biodiversità, che rappresentano altrettante aspetti di un unico problema che è il degrado ambientale, di cui le tre suddette componenti (individuate per comodità di approccio operativo nella conferenza di Rio de Janeiro del 1992) sono manifestazioni eclatanti che interagiscono tra loro in modo continuo. E’ quindi del tutto evidente che le modificazioni che avvengono su una di esse ricadono inevitabilmente anche sulle altre in un costante rapporto ciclico. La finalità dello studio MEDITERRA è essenzialmente quella di promuovere una gestione virtuosa dell’agricoltura dei Paesi del bacino e cioè quel tipo di agricoltura che sa conciliare un corretto sviluppo agricolo e rurale con la difesa del territorio, per fornire, da un lato, una risposta valida alle giuste attese alimentari e civiche della società contemporanea ma, allo stesso tempo, non tradire il principio per cui quello stesso territorio, che abbiamo ricevuto dalle generazioni passate, deve essere consegnato alle generazioni future senza avere subito alterazioni irreversibili. Dobbiamo purtroppo rilevare che, da molti anni ormai, questo non è stato il principio prevalentemente applicato in agricoltura, soprattutto per quanto attiene ai territori dei paesi a nord del bacino, dove invece si è largamente applicata una agricoltura intensiva di sfruttamento del suoli. In epoche precedenti alla irruente espansione economico-industriale si era soliti affermare che “la presenza dell’uomo sul terreno lo migliora progressivamente”. E ciò corrispondeva a verità in quanto le lavorazioni corrette, la rotazione delle coltivazioni e soprattutto le letamaziomi producevano un graduale arricchimento nei suoli della sostanza organica e quindi dell’humus, principale fattore di fertilità. Sappiamo che ora non è più così : scomparse quasi ovunque, per ragioni prevalentemente economiche e sociali, le stalle poderali e quindi le letamazioni dei terreni produttivi, ridotte al minimo le rotazioni, si ricerca la massima produttività con l’impiego massiccio di fertilizzanti chimici che “consumando” l’humus esistente (“la forza vecchia”) producono anche la sterilizzazione progressiva dei terreni e preparano il processo di desertificazione. Ciò vale, come detto, soprattutto per i Paesi sviluppati delle sponda nord del Mediterraneo, ma anche per quelli della sponda sud ed est, dove le deforestazioni, la carenza idrica ed il mancato rispetto del “riposo dei suoli agricoli e pastorali” induce alla desertificazione e quindi al conseguente esodo delle popolazioni rurali. Uno dei principali motivi di validità dello studio “MEDITERRA” è quello di aver analizzato minuziosamente, Paese per Paese, le diverse molteplici situazioni da ogni punto di vista, sia naturalistico, che sociale, economico, demografico, climatico e culturale e ciò costituisce un prezioso bagaglio di conoscenze di cui tener conto per le auspicabili azioni da intraprendere per riscatto della Regione. Ciò in quanto tutti questi fattori costituiscono altrettanti nodi da sciogliere per promuovere quello sviluppo sostenibile che possa invertire l’attuale deriva e allontanare significativamente la tendenza al degrado irreversibile. Nel minuzioso quadro che ne scaturisce, alcuni elementi di fondo assumono un rilievo prevalente e si impongono quali cause principali per il processo di degrado in atto. Essi sono, per la sponda nord, l’inquinamento generalizzato dell’aria e dei suoli; sia di origine industriale, che agricola e urbana e la progressiva riduzione della disponibilità di acqua. Per quelli della sponda sud ed est, la fame, le malattie, la cronica carenza idrica, la desertificazione avanzante, la deforestazione, il deficit culturale sono tutti problemi la cui soluzione è enormemente complicata dall’eccessiva proliferazione che allontana sempre più il traguardo di un soddisfacente equilibrio socio-economico ed ambientale. Per quanto riguarda i provvedimenti necessari per il paesi europei, essi sono sufficientemente noti e non comporterebbero alcuna difficoltà tecnica di adozione se la loro applicazione non fosse estremamente complicata da problemi di natura socio-economica e da un alto tasso di resistenza a rimuovere consuetudini, sprechi e rendite di posizione. Per quanto attiene ad esempio alla progressiva diminuzione della disponibilità idrica, essa dipende per gran parte , da un crescente spreco (e ciò nonostante l’apporto di una buona pluviometria) sia all’atto della captazione che durante il trasferimento della stessa ed anche dalla carenza di opere di regolamentazione dei flussi che facciano tesoro delle intense precipitazioni, fuori norma, e le conservino in appositi bacini di emergenza per i seguenti periodi secchi ad evitare così le ricorrenti disastrose alluvioni, rese possibili anche dalla mancanza di una adeguata copertura vegetale. La disponibilità inoltre verrebbe senza alcun dubbio moltiplicata se si applicassero provvedimenti per separare l’uso delle acque pure, da destinare solo ad impieghi ben definiti, dai corpi d’acqua per i quali fosse possibile un riutilizzo multiplo. Per quanto attiene invece ai Paesi della sponda sud ed est essi necessitano (come tutti gli altri PVS) di provvedimenti che combattano la fame e le malattie della popolazione rurale, pongano un freno sia alla deforestazione che alla desertificazione e frenino l’eccessiva proliferazione (non dimentichiamo che l’Africa in meno di un secolo è passata da circa 230 milioni a più di 600 milioni di abitanti) processo che determina la moltiplicazione di una umanità misera e sofferente, afflitta da condizioni di vita degradate, da una fortissima mortalità specie infantile (muoiono i bambini!), ma che neppure essa riesce a contrastare il vertiginoso aumento della popolazione. Per contrastare questa situazione, il rimedio principale non può essere che un esteso programma di bonifica agricola e rurale che valorizzi, con le moderne tecniche disponibili, gli ampi spazi territoriali esistenti, produca cibo sufficiente per la popolazione, radichi la stessa al proprio luoghi di residenza, costituisca un valido contrasto, con una estesa forestazione, alla minaccia della desertificazione. Altra iniziativa fondamentale per un valido contrasto alle malattie (e quindi anche alle ricorrenti epidemie e pandemie) è la realizzazione di una rete, territorialmente estesa, di ambulatori gestiti da personale infermieristico locale, che siano realmente accessibili alle popolazioni rurali e siano supportati da personale medico itinerante. A detti ambulatori si potrebbero far giungere, a titolo gratuito, adeguati quantitativi dei prodotti medicinali di base, elementari informazioni medico-sanitarie, nonché profilattici e anticoncettivi per un uso non coercitivo ma volontario che ponga un freno alla cosiddetta “bomba demografica”. Risultati questi impossibile da ottenere con la costruzione di grandi ospedali urbani, lontani centinaia di chilometri dalla popolazione rurale che è quella che è più bisognosa di assistenza. Le iniziative di cui sopra sono assolutamente prioritarie per poter dar luogo a quei provvedimenti che lo studio “MEDITERRA” puntualmente mette in risalto, per ottenere uno sviluppo dell’area rispettoso delle varie caratteristiche locali e che valorizzi la ricchezza delle tradizioni e dei saperi acquisiti nel tempo. Tutto questo però difficilmente potrà essere realizzato nell’area sud-est del Mediterraneo con le sole forze della popolazione locale. Di qui la necessità, ma anche la convenienza, che i Paesi di entrambe le sponde mettano in campo le rispettive potenzialità a vantaggio del bene comune. Per le popolazioni del sud-est la disponibilità degli ampi spazi territoriali esistenti e la forza lavoro necessaria al fine di eseguire un esteso programma di bonifica integrale ; per i Paesi europei le ingenti risorse economiche e tecnologiche richieste, Entrambe le parti ne riceveranno vantaggi considerevoli in quanto si avvieranno a soluzione i problemi dell’indigenza, della fame e quelli sanitari, demografici e ambientali del sud-est che difficilmente altrimenti potrebbero essere risolti. Parallelamente , anche i Paesi europei potrebbero ritrovare il loro equilibrio territoriale, perduto nel tempo, trasferendo gradatamente nelle vaste aree della sponda sud le produzioni agricole di massa (grano, mais, ecc.) liberando quindi i propri terreni dalla necessità di produzioni intensive e per ciò stesso da uno dei principali fattori di inquinamento e di progressivo isterilimento ; utilizzando altresì i propri maggiori spazi resi così disponibili per produzioni ed attività di maggior valore aggiunto quali ortoflorofrutticoltura, agriturismo, impianti silvopastorali, redditizie produzioni di nicchia. Ciò consentirebbe anche di mettere in sicurezza, con una forestazione più estesa, le aree critiche dai ricorrenti devastanti smottamenti autunno-invernali. In tutte le aree del bacino l’intensificazione della forestazione darebbe luogo, come conseguenza, ad una maggior attività di evotraspirazione ed una maggior pluviometria e quindi ad un più accentuato ciclo idrico. Importante altresì il più intenso assorbimento di anidride carbonica in tutta l’area che avverrebbe in conseguenza di una accresciuto processo di fotosintesi clorofilliana. In questa attività di trasformazione degli assetti territoriali potrebbe anche trovare attuazione una più corretta gestione delle acque ed una più drastica riduzione degli sprechi. Altro vantaggio di interesse generale sarebbe un maggior radicamento delle popolazioni rurali ai propri territori e quindi una consistente diminuzione dell’emigrazione delle popolazioni verso il nord europeo alla ricerca di migliori condizioni di vita. In definitiva questa operazione nord-sud perseguirebbe oltre all’obiettivo di un riequilibrio ambientale, anche quello di ristabilire quel proficuo rapporto tra tutti i Paesi del bacino che esisteva nell’antichità e che è andato perduto nel tempo. A questo proposito è utile ricordare le grandi potenzialità idriche e lo sviluppo delle civiltà cresciute e rese possibili dal sistema montuoso dell’Atlante per i paesi dell’Africa nord-occidentale, il vanto delle intense produzioni agricole della valle del Nilo all’epoca dei Faraoni e quanto, a suo tempo, veniva affermato circa i territori della Cirenaica e cioè che essa costituiva il granaio di Roma. Nulla quindi di veramente nuovo ed inconsueto in ciò che lo studio MEDITERRA, si propone di rendere di nuovo possibile, se non le modalità e le dimensioni legate al mutare dei tempi.

(Emanuele Davia)

 
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